Una meravigliosa passione alla Galleria Borghese

Una “meravigliosa passione” raccontata in una magnifica cornice.

La passione è quella che Giovan Battista Marino( 1569-1625), il più importante poeta del Seicento italiano nutriva per le arti figurative con le quali intesse un intenso rapporto di scambio costante. La cornice è quella della Galleria Borghese, ancora più preziosa dopo oltre un anno di lavori che ne hanno ottimizzato estetica e percorsi di fruibilità. Un luogo perfetto questo splendido palazzo di un grande collezionista come il Cardinale Scipione Borghese per ricordare, omaggiandola con una Mostra aperta fino al 2 febbraio 2025 e curata da Emilio Russo, Patrizia Tosini, Andrea Zezza, la figura non solo di un grande poeta , oggi non sempre ricordato, ma di un altrettanto notevole collezionista. E’ grazie ai suoi contatti con molte corti europee e con i più importanti artisti del tempo, a cominciare da Caravaggio, che il Cavalier Marino, Cavaliere di San Maurizio e Lazzaro, come sottolinea nel ritratto di Frans Pourbus, mostrando la Croce dell’Ordine, inizia a raccogliere opere d’arte. Sempre più impegnato nell’illustrare il rapporto fra arte e letteratura arriva a commissionare a diversi pittori ed illustratori lavori da inserire nei suoi poemi perché con essi dialoghino. Come viene ben illustrato nella Mostra dove le sculture e i quadri esposti sono accompagnati dagli eleganti versi del Marino che ad essi si riferiscono. Tipico del Seicento, quando finalmente gli artisti passano da “artigiani” ad uno status non inferiori agli intellettuali del tempo, il gareggiare fra penna e pennello. Gli artisti: Correggio, Tiziano, Palma, Tintoretto, Nicolas Poussin e molti altri si ispirarano a capolavori letterari per realizzare “favole e poesie figurate”. I letterati elaborano a storie mitologiche e narrazioni religiose capaci di evocare atmosfere e visoni pittoriche. Abilissimo in questo il Marino, capace di creare con i versi suggestioni visive. Di realizzare opere come La Galeria ( 1619) , raccolta di 624 componimenti poetici dedicati ad altrettante opere d’arte visiva in un costante gioco di specchi. Evocazione del mito omonimo e del tragico amore con Venere, il poema l’Adone (1623). Quarantamila versi e anni di scrittura per quello che viene considerato il capolavoro del Barocco in poesia e , in Mostra, dialoga in perfetta armonia con tele di Palma il Giovane, Scarsellino, Cambiaso e Poussin. Quest’ultimo, conosciuto quando era in esilio alla Corte di Maria de’ Medici a Parigi, deve al poeta l’introduzione negli ambienti romani che contavano al tempo. Costante la scambio fra profano e sacro, come mostra il tema de La Strage degli Innocenti (1632), poema di cui darà lettura in Campidoglio con ottima accoglienza e per il quale trova ispirazione nella lunga tradizione figurativa dedicata al drammatico tema: da Raffaello al Cavalier d’Arpino. Ma non c’è solo gloria per il poeta, frequentazioni e commissioni dalle corti europee. C’è in lui, come nel contemporaneo Caravaggio, un lato oscuro. Inviso a molti a cominciare proprio dal Cardinale Scipione Borghese e da Papa Urbano VIII Barberini a Roma, viene accusato di empietà e perseguitato a lungo dall’Inquisizione. Un destino iniziato in gioventù, da Matteo di Capua, Principe di Conca che lo fa imprigionare due volte ( 1598 e 1600) per accuse rimaste sconosciute. Più note invece le fughe del Marino. Una presso la Corte dei Savoia (1608) a Torino. Accolto con benevolenza verrà poi accusato di scrivere “poesie oscene ed empie” e subisce anche un attentato da rivale poetico Murtola. Arrestato per un anno per motivi anche qui misteriosi troverà poi ospitalità presso la regina Maria de’ Medici. Resterà per otto anni in tranquillità , fino al 1623. Tornato in Italia a nulla gli valgono i poemetti dedicati alla celebrazioni delle glorie papali. L’Inquisizione mantiene attivo il processo a suo carico e il Sant’Uffizio le condanna agli arresti domiciliari e , proprio come Galileo, a “pubblica abiura” nella chiesa di S. Maria della Minerva rivestito dal saio di penitente. Grande la vergona per il celebre letterato che vedrà anche sequestrato il suo capolavoro Adone da parte dell’Inquisizione. Nel 1624 decide di trasferirsi a Napoli dove creare una casa- museo con quanto raccolto nel tempo ma si ammala e muore nel 1625 dopo aver raccomandato: “ di ardere tutti i suoi manoscritti ad eccezione delle sole opere sacre”. Ravvedimento tardivo? Timore del giudizio divino? Difficile dirlo ma anche in tempi recenti atei conclamati hanno mostrato contrizione nel momento finale. Mancano gli strumenti per valutare l’uomo ma di certo l’artista merita ammirazione e la mostra romana è valido strumento di conoscenza.