FINO AL 14 OTTOBRE
Manca poco perché la stagione artistica romana entri nel vivo con l’inaugurazione di una serie di importanti mostre. Fra queste è grande l’aspettativa per un nuovo “sbarco” americano nella Città Eterna, quando Andy Warhol il 3 ottobre e poi Jackson Pollok e gli artisti della Scuola di New York il 10 si impadroniranno di tutti gli spazi del Complesso del Vittoriano. Contenuto opposto ma altrettanto vivo l’interesse per l’apertura, alle Scuderie del
Quirinale il 17 ottobre, della mostra dedicata ad Ovidio a duemila anni dalla morte e che riunirà meraviglie realizzate nel corso dei secoli ispirate al tema dell’amore. Nell’attesa vale la pena di godersi, al Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale e fino al 14 ottobre, una piacevole esposizione dedicata a Sergio Ceccotti, a cura di Cesare Biasini Selvaggi. Il pittore, nato a Roma nel 1935, svolge la sua attività tra Roma e Parigi. È stato allievo di Oskar Kokoschka a Salisburgo e dell’Accademia di Francia a Roma. Occasione per conoscere e apprezzare opere realizzate in sessant’anni di attività da un artista figurativo capace di fondere uno stile ricollegabile alla metafisica di de Chirico e al realismo magico a riferimenti che vanno da Magritte al cromatismo dei pittori messicani e all’espressionismo tedesco. In più l’aggiunta di un tocco di estrema attualità con i richiami, anche coloristici, alla grande tradizione del “fumetto”. Si tratti di Diabolik o della copiosa produzione di Milo Manara ma con in più un senso di mistero, di attesa che ricorda le atmosfere di Edward Hopper: (Vedi “Avventura & Mistero del 1966 e “Un delitto” del 1967) . I paesaggi urbani di Parigi, dove ha lavorato e vissuto, assumono valenze inquietanti, come se ogni angolo di strada possa nascondere un’incognita minacciosa. Nella figurazione ceccottiana, inattesi
enigmi si nascondono al di là di porte e finestre, scale e corridoi di asettici appartamenti borghesi (Un après-midi parisien, 2017) o di modeste camere d’albergo (La robe verte, 2008). Il realismo dell’artista è fatto di una visione pittorica colta, raffinata e originale che fonde una profonda conoscenza della storia dell’arte con artifici retorici del cinema alla Hitchcock. Infatti gli spazi dipinti, quasi sempre anonimi, sono al tempo stesso altamente simbolici,talvolta allarmanti. Sembrano precedere o seguire di un attimo un dramma precluso allo sguardo dello spettatore da una sapiente regia, così da poterlo solo immaginare. Inoltre nei dipinti si rivelano anche attraverso l’accostamento di oggetti incongrui gli spunti dei rebus di cui Ceccotti è un appassionato. “L’intento non è – sottolinea il pittore- di produrre un effetto stranamente di tipo surrealista
ma gli elementi in apparenza antitetici risultano assorbiti dalla scena generale, come se fosse naturale, come appunto vediamo nei rebus, per un ragazzo lottare con un serpente tra l’indifferenza di altri personaggi che contemplano le barche sul fiume, mentre su una pietra in primo piano una teiera
e una tazza attendono, accanto a due grossi coltelli». (vedi : Notturno, rio dei Mendicanti, 1990; Hiver à Montmartre, 1991; Estate a piazzale Flaminio, 2016),
Foto di copertina: Sergio Ceccotti -Un momento di musica