Colore e calore, una vocale tra due parole che, secondo il mio parere, descrivono bene la cerimonia Sikh del “Nagar Kirtan”, che si è svolta ieri nel multietnico quartiere Esquilino di Roma. Colore come quello dei vestiti, dei turbanti, dei fiori, della vita, con il quale sono state inondate Piazza Vittorio Emanuele II e le strade circostanti. Calore come quello di un abbraccio, familiare, della generosa comunità Sikh che ha reso partecipi tutti i presenti, nessuno escluso. Un grande esempio di integrazione che affonda le radici nella propria religione, monoteistica, che afferma l’esistenza di un unico e supremo Dio, assoluto e onnipresente, eterno, creatore, origine di ogni origine, privo di inimicizie, di odio, dove nessuno può rivendicare una posizione più elevata dell’altro, dove il Creatore è presente in ogni persona; ciascun individuo è uguale di fronte a Dio, indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle, dal sesso, dalla nazionalità.
Il rito del “Nagar Kirtan”, coincide di solito con il mese del Vaisakhi (il mese del raccolto più ricco per gli agricoltori), ed ha come finalità, quella di portare il messaggio di Dio nelle case della comunità attraverso il canto degli inni sacri. Inizia, come vuole la tradizione, con i Sewadar, un gruppo di fedeli che scalzi puliscono il percorso, preparano l’area dove avverrà la cerimonia e lo spazio comune chiamato langar, dove verrà distribuito a tutti i presenti, cibo vegetariano e tè indiano chai. La Sacra Scrittura “Guru Granth Sahib” è custodita all’interno di un autocarro adorno di fiori e simboli religiosi, in seguito portata in processione tra canti, inni sacri e spettacoli di Gatka, un’antica arte marziale indiana.