Anche il nostro giornale si unisce al cordoglio nazionale e internazionale per la grande sciagura causata dal terremoto che ha colpito l’Italia centrale. Mentre continuano le scosse anche di notevole intensità, che generano paura sulla paura, mentre continua l’orrore della conta delle vittime rimaste sepolte sotto le macerie, mentre si scava senza sosta nella speranza di salvare altre vite al destino tragico che in una manciata di secondi ha distrutto case, esistenze e secoli di storia, emerge prepotente la rabbia legata all’impotenza di fronte ad eventi nei confronti dei quali appare impossibile ogni sforzo. La nostra società così evoluta tecnologicamente non è ancora in grado di prevedere gli eventi sismici, né la loro intensità che negli ultimi anni sembra assumere un’inquietante incremento. L’Italia, come altri paesi del Mediterraneo, si trova in un’area critica dove le forze tettoniche possono scatenare da un momento all’altro terremoti di rilevante potenza. Anche la statistica riesce solo ad annotare le date e la magnitudo dei sismi, ma nessun calcolo è in grado di indicare la probabilità dello scatenarsi della scossa. Perfino lo sciame sismico, comprese le allarmanti onde di ritorno, è assolutamente imprevedibile. Così è stato per l’Irpinia e prima ancora per il Belice; così è stato per il Friuli, per l’Aquila, per Assisi, per l’Emilia Romagna e così purtroppo potrebbe essere in futuro per molte altre località della nostra penisola. Gli scongiuri servono a poco. Se è vero che i terremoti non possono essere previsti, è altrettanto vero che prevedibilissimi sono gli interventi che oggi tecnicamente sono possibili per evitare o almeno contenere i danni in presenza di future scosse, come avviene per esempio in Giappone.
Ventiquattro milioni di Italiani vivono in zone classificate dai geologi come ad alto rischio sismico e i restanti milioni non sono comunque in zone immuni da potenziali rischi. Se si pensa che circa l’80 per cento delle case che si trovano nelle aree identificate come più rischiose può crollare, non c’è da stare allegri dal momento che sembra non esistere neppure una mappatura dei fabbricati più esposti, come hanno riferito molti giornali. C’è poi l’angosciante interrogativo di strutture restaurate recentemente, come la scuola Capranica di Amatrice, crollata come un castello di carte. A fronte di questa realtà drammatica per un paese come l’Italia che deve convivere con i terremoti, c’è la verità tragicomica dei fondi stanziati per la costruzione di strutture antisismiche e mai utilizzati per la complessità della burocrazia, per i conflitti procedurali tra regioni e comuni, per l’incapacità o l’indifferenza degli amministratori locali, più preoccupati a mantenere intatto il proprio bacino di voti che la stabilità delle città e dei villaggi, che sono spesso centri storici d’inestimabile valore. E’ cosi, basta una scossa di oltre dieci secondi di grave intensità per seminare morte e distruzione, per mandare in briciole opere d’arte, riferimenti storici, capolavori architettonici che sono la base del nostro patrimonio culturale e turistico: questa è la vera risorsa della nostra economia. Non come qualcuno ha azzardato dire, auguriamoci impropriamente nello stress di una diretta tv, che i terremoti possono essere anche “volano” per l’economia del paese perché generano altri posti di lavoro nella ricostruzione. Considerazione che ci lascerebbe auspicare altri cataclismi per risollevare l’indotto economico e l’occupazione. Perché no anche una bella guerra nucleare?
La Redazione